Allo improvviso gli emuli miei (e poi furono nemici), che fin lė avevano posto una tal quale ostentazione ad obliarmi, ecco cercarmi premurosi, e volere anzi costringermi che seco loro mi accompagnassi. Biasimo o laude che ne ridondi, questo s'intenda bene, e si riponga in mente, che altri, non io, anzi me inconsapevole e repugnante, prese ad agitare il Popolo livornese; e le prove abbondano pių che non si crede, e le direi se una cosa sola non si opponesse, ed č l'alto, invincibile aborrimento che sente in sč ogni anima, che non sia fango affatto, di adoperare anche a necessaria difesa le arti usate dagli emuli miei per offesa spontanea. - Che cosa gli muovesse, e perchč? Poco importa indagarlo; il fatto sta che vennero in casa mia, mi obbligarono a vestirmi, mi presero per le braccia e pel petto, e a forza mi trassero ad arringare il Popolo nella Piazza di Arme, a forza mi trassero a Pisa. Passate le prime effervescenze, pensai, e scrissi quello di cui tenni proposito nella pagina 21 di questa Apologia. Intanto fu chiesta la Guardia Civica a Firenze, e Guardia Civica si volle immediatamente a Livorno. Mi sia permesso dirlo: il modo col quale essa venne composta in Livorno seminō la discordia nel Popolo, e fu origine di tutti i mali. Alcuni individui, certamente rispettabili, ma allora per inesperienza pių che non conviene in simili congiunture imperiosi, stesero una nota di loro amici, o aderenti, disegnarono i gradi, distribuirono gli ufficii; poi recatisi al Governatore Don Neri Corsini, la fecero firmare; il Gonfaloni
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