Leone Cipriani non dissimula nè sopporta uno insulto, e siccome prevedo probabilissimo che qualche oltraggio gli facciano, così riesce agevole del pari il presagio, che simile negozio non possa sortire lieto fine. - Queste cose ho voluto dire, perchè so che a Leone Cipriani furono riportate diversamente; dal 1848 in poi noi non ci siamo più visti: egli andando in California, io rimanendo prigione, forse in questo mondo noi non ci rivedremo: ma desidero che di me conservi quel buon concetto, che io (tranne la sua infelice commissione livornese) serberò, vada certo, finchè io viva, di lui. - Altre pratiche feci presso il Presidente Capponi e i suoi Colleghi per impedire la sciagura imminente; sopraggiunse S. A., ed io mi allontanai con la promessa, che se taluna delle mie proposte avessero accettato, me ne avrebbero porto avviso prima del mezzogiorno a casa. - Venne mezzogiorno; aspettai fino al tocco; allora uscii disperato di ogni buono esito delle mie premure. Incontrando il signor avvocato Menichelli, mi domandava perchè non assistessi alla Tornata straordinaria del Consiglio Generale tenuta in cotesta mattina per discutere intorno ai poteri eccezionali da conferirsi al Ministero per ridurre a partito la città di Livorno: accorsi sollecito alle Camere, ma trovai discussi e votati due Articoli della Legge del 27 agosto 1848; allora discutevasi il terzo, e se non erro, orava il Trinci(73). Mi ritirai col cuore chiuso da funesti presentimenti. Mi sia permesso trapassare correndo sopra i casi del 2 settembre.
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