Bene! Grazie! La fortuna, fra tante acerbità, mi fu cortese di amici, fra i quali dilettissimo e venerato il signor Giovanni Bertani, che, intrinseco già del padre mio, me lo rappresenta adesso per affetto, per cura, per ogni altra cosa più dolce; e la Istruzione lo sa. Ora può credersi sincero, almeno quello che confidavo a lui: non era destinato a sapersi; dovevano rimanere le mie espressioni riposte nello animo suo. E quando io gli facevo la confidenza dei miei pensieri? Poche ore prima che Niccolini mi annunziasse il successo di Siena, e mi aprisse il disegno di proclamare la Repubblica, e me volere a forza Dittatore. - E come? - Oh! non dubiti l'Accusa: in guisa, che i suoi stessi sospetti rimarranno placati: con lettera, che porta il doppio marchio delle Poste di Firenze e di Livorno. - E che dic'ella cotesta lettera? - Giovanni Bertani, con lettera del 6 febbraio, mi ragguagliava come la città andasse turbata nelle decorse notti con le grida di - Viva la Repubblica! e giorni innanzi un certo tale avere tenuto parlamento al Popolo dalla terrazza della Comunità, in senso repubblicano e comunista. Io così gli rispondeva la sera del 7 febbraio 1849: "Tutto andrà pel meglio, purchè costà non avvengano disordini. Screditate questi mestieranti torbidi e sviscerati della Repubblica per aver pane dal Principato. S... va fischiato. Lo stesso sacramento in bocca sua diventa sacrilegio: vergogna al Popolo che sopporta simili Apostolati(146)."
Ma l'Accusa (per adoperare il suo linguaggio) dirà: non sono questi atti univoci, non prove limpidissime; gli è forza che vi scolpiate luminosamente, splendidamente; bisognerebbe conoscere proprio quello che ruminavate tra voi altri Ministri, quello che tenevate giù dentro al profondo del cuore.
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