Considerate le Storie, vediamo che virtù fa forza, forza superbia, superbia corruttela; e l'ambita grandezza consuma i popoli come macina molare; non mancano però uomini di peregrino intelletto, i quali ostinati in certe loro immaginazioni si voltano alle Storie, e le contemplano non come elleno sono, ma come loro talenta. Io non gli maledico; mestiere plebeo è questo; ma gli assomiglio a quel Don Pietro di Portogallo, che, acceso di amore per la morta moglie, la vestiva di vesti magnifiche, le poneva in testa corona, al collo e agli orecchi monili e gioie, e delirando la volea pur viva. - Essi vi diranno presentare le Storie due periodi, quello dell'autorità e quello della personalità, per mettere capo al terzo, che è il Messia, quello della fratellanza; ma la faccenda procede altrimenti, e troviamo bene spesso, troppo spesso, Stati che invece di progredire verso il periodo ultimo, stornano verso l'autorità; anzi, verso la barbarie; anzi, verso lo assoluto potere della spada. Intendono volere distrutte le disuguaglianze degli averi, della prestanza personale e perfino degli intelletti, e predicano questo quando le disparità appaiono più disperate. Nel secolo che vide Napoleone, Cuvier, Berzelius, e Goethe, e Byron, e Alfieri, andate a parlare di uguaglianza d'ingegni! E quando si arrivasse alla divisione degli averi, io vorrei un po' sapere quanto ella avrebbe a durare, e come farebbero a impedire che nascesse il prodigo e l'avaro, il cupido e il trascurato, lo industrioso e lo infingardo.
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