Tutto questo, assai più che con le parole, col gesto concitato, e col guardo torvo, era diretto contro il Niccolini, che si smarriva, rimettendo alquanto della consueta petulanza, e, mal per rabbia sapendo quello che si facesse, si mise a sedere su la pedana del banco ministeriale. Ora, Dio eterno, si può egli supporre, che un uomo il quale avesse eccitato queste enormezze in segreto, ardisse rinfacciarle così aspramente in palese? E si può egli credere, che o Niccolini, o tale altro della Congiura si fosse tolto in pace vituperio siffatto? La mia sfrontatezza avrebbe toccato il termine della insania; la pazienza altrui quello della stupidità.
Intanto Niccolini, ripreso animo, a cagione degl'imperiosi messaggi che il Popolo mandava per invitarmi (e voleva dire ordinarmi) a scendere in piazza, per le apprensioni del Vice-Presidente, pei clamori delle tribune, ed anche per certa imprudente proposta mossa da un Deputato rivolto a me, che tenevo sempre la tribuna, grida: "chiedere la parola in nome del Popolo; avere il Popolo riassunto i suoi diritti, dopo che si era radunato in piazza, ed aveva dichiarato decaduto il Potere; avere di più nominato tre persone per reggere la Toscana, e con Decreto sciolti gli altri poteri." Quindi cruccioso conclude: - "O voi accettate, e non esiste altro Potere che il vostro conferitovi dal Popolo; o non accettate, e il Popolo penserà a quello che deve fare....(181)"
La turba applaudiva frenetica: difficilmente può significarsi per parole l'amarezza con la quale il Niccolini urlava: "Il Popolo penserà a quello che deve fare.
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