Reputano i miei Giudici subdolo trovato di difesa, se, mentre tanti e poi tanti appena curati, o non curati affatto, addussero a giustificazione dell'operato, e loro valse, il pensiero di provvedere alla propria sicurezza, affermo che ancora io badai un poco a me, io che mi ero posto a duro cimento e mi vedevo circondato da gente nemica e da Popolo sospettoso. Io aveva detto: "Chi si sente capace di operare in guisa diversa, sorga e mi accusi." I Giudici sono sorti e mi hanno accusato: io devo confessare che ammiro il più che spartano coraggio di loro. In quanto a me, sono uomo, nè cose sopra natura so fare: non temo la morte, imperciocchè tosto o tardi, e tutti, e in breve, dobbiamo morire; pure, da morte sanguinosa e senza onore repugno; nè per leggere che io abbia fatto storie mi venne fin qui incontrato uomo cui dilettasse cadere sotto ignobile ferro. Io ero solo. Il Municipio, rappresentato dall'egregio Gonfaloniere, pregavami a non abbandonare in quel pericolo la Patria, e prometteva valido aiuto. Così pregava eziandio la Guardia Civica per l'organo del suo degno Generale, che si affrettò, in Senato, di aderire al voto del Popolo. Il personaggio tenuto come Capo della Commissione governativa del 12 aprile, nell'8 febbraio pronunziava parole gravissime per giustificare quello che il Popolo esigeva. - Io non incolpo nessuno; solo vorrei che quello che bastò ad altri o non costretti, o poco, potesse bastare a me, sottoposto a ineluttabile pressura.
Nè si trattava di me solo, ma, nell'universale sbigottimento, meco dovevano salvarsi i miei compatriotti tutti, la pericolante società.
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