Qui cade in acconcio favellare dell'accusa appostami nel § 52 del Decreto del 7 gennaio 1851, e ripetuta in seguito, di non avere abbandonato la posizione che poteva strascinarmi o farmi perseverare nella via del delitto.
Non vi era luogo a renunzia: non si offeriva lo ufficio come cosa che potesse rifiutarsi o accettarsi. La moltitudine imponeva, e fu dimostrato. Guardia Civica, Municipio, Deputati instavano a salvare la vita e le sostanze dei cittadini. Quando il naufrago chiede soccorso, possiamo ricusarlo per debito di coscienza? Se curando il mio proprio interesse avessi duramente respinta la preghiera, e se questa durezza avesse partorito i mali che pur si temevano, e che sarebbero stati inevitabili, in qual parte di mondo potrei sollevare io adesso la faccia svergognata? - Dove sarebbero andati i familiari del Principe, ai quali, con Decreto del 10 febbraio 1849, d'accordo con P. A. Adami, riuscii a mantenere le pensioni? Dove gl'impiegati? dove voi stessi, o Giudici che mi accusate? Ma lascio della ingratitudine atroce: e in qual modo potevo sottrarmi io? E non avete saputo che nè notte nè giorno mi abbandonavano? Che, pieni di sospetto, specialmente nei primi tempi, mi seguitavano come ombra? Voi lo avete saputo, ma lo dissimulate. E dove fuggire? A Livorno forse? Sì certo, perchè, come traditore, mi ponessero a morte! A Roma...? In tempi di rivoluzione, difficile e piena di pericoli è la fuga, anche apparecchiata da lunga mano. Il Decreto dovrebbe sapere qual maniera di gente stanziasse allora in Firenze; Romagnoli e Romani, che a rinnuovare la strage di un supposto Rossi avrebbero reputato ottenerne merito presso gli uomini e presso Dio: e senza uscire di Toscana, il Frisiani, caduto in sospetto, quale acerbissimo fine non ebbe egli a patire!
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