Io contemplava la nuova viltà, e sorrideva. Udite un po' come si esprimeva il Conciliatore del 28 febbraio 1849: "Che cosa possiamo sperare da coloro che s'inchinano a tutti i poteri, che stancarono le anticamere delle Corti e dei Ministeri, e che oggi proclamano svisceratissimi la Repubblica? O Libertà.... quando il tuo culto era proscritto, tu conoscevi a nome i tuoi addetti; oggi, che hai altari su le piazze e su i trivii, anche i tuoi più crudeli ed antichi nemici ti portano pubbliche offerte fra le acclamazioni delle immemori turbe." Non ti pare quasi sentire un lamento del Conciliatore che altri gli abbia vinta la mano, e possa essere reputato più amante della Repubblica di lui? Bassa voglia poi sarebbe indicare chi questi svisceratissimi della Repubblica si fossero: la morale pubblica ne scapiterebbe; e poi picchiandosi il petto, essi si confessarono pentiti e dichiararono di non peccare mai più.... fino alla prima occasione. Io non mi prevalsi nè della ebbrezza, nè del furore, nè della pazienza, nè della viltà. Eletto tutore del Popolo, e consapevole dei suoi veri desiderii, mi sarebbe parso fare opera di ladro, che carpisce la firma ad una cambiale dall'uomo preso dal vino, sospingendolo al Partito della Repubblica. I Repubblicani in questo fanno appunto consistere la mia colpa; io la mia probità. A me piace proporre al Popolo, dopo pranzo, le risoluzioni ch'egli confermerà anche la mattina a digiuno: perfida mi è parsa sempre la dottrina di mettere a repentaglio così moltitudini, come individui: più tardi, risensati, lacerano lo ingannatore, ne maledicono la fama.
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