In mezzo al tumulto era difficile farmi intendere, e folle il parlare quello che sentivo; ridotto allo estremo, dicevo: "Ora via, Cittadini, dacchè volete la Repubblica ad ogni costo, e Repubblica sia; a patto però, che mi mostriate domani duemila giovani fiorentini armati, e disposti a combattere per la Repubblica." Risposero urlando: "trentamila ne condurremo!" Ed io di nuovo: "Bastano duemila." Era cotesto un ripiego che il mio buon genio mi suggeriva per ischermirmi dalla tremenda violenza che faceva una moltitudine capace d'ingombrare sale, scale e piazza; e al punto stesso era prova, con la quale intendevo certificare il Partito repubblicano della vanità dei suoi conati a strascinare il Popolo intero. Firenze non ebbe i duemila soldati per la Repubblica, mentre gli aveva avuti, e generosissimi, per la guerra della Indipendenza italiana, bandita dal Principe Costituzionale. Così preservai in quello accidente il Paese, la opinione del Partito repubblicano fu indebolita, e cresciuta a dismisura la sua rabbia contro di me. Questo io operava con pericolo mio contro la moltitudine arrabbiata il 18 febbraio, non già dopo la disfatta di Novara, come con offesa manifesta del vero non aborrisce affermare l'Accusa(208).
Nè per questo i Repubblicani si davano punto per vinti: mediante il Ministro romano sig. Maestri presentano una Nota contenente diversi articoli per approvarsi subito dal Governo toscano. Se le cose richieste fossero state ammesse, non lasciavano più il Paese in potestà di deliberare.
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