E non per iattanza vana, ma per difesa di me troppo a torto oltraggiato, io rammenterò come a quei tempi gli uomini che le opinioni loro facevano pubbliche col Conciliatore, i gravi mali deplorando, non sapevano, non dirò quale apportare, ma neppure quale avvertire rimedio; e verso di me si volgevano confortandomi ad operare, secondo che esperienza di storie veniva suggerendomi; se non che in cotesti casi abbaruffati il senno cade vinto e il coraggio, i consigli generali non valgono; ed anche fossero comparsi speciali, a cui consiglia non duole il corpo; ed altro è dire: fa; ed altro è fare; e la favola del sonaglio, che i topi deliberarono in collegio di appiccare al gatto, ce lo insegna ab antiquo. Intanto la stupenda audacia della Fazione repubblicana persuadeva gli uomini del Conciliatore, essere qualunque partito per attraversarla intempestivo od esiziale; oggimai a reverire in pace l'altare della Libertà rassegnavansi; unicamente a mani giunte supplicavano ad inalzare a canto a quello l'altare della virtù; le quali parole, ridotte in casereccia favella, significavano, che, per quanto amore portavo a Dio, dalle passioni fanatiche prima, poi dalle violenti, e alla fine dalle cupide le persone loro, e i poderi, e le case tutelassi. Ed io di cuore mi consacrava alla impresa, e certo per volontà non mancai al debito mio; ho fatto quanto la mia natura dentro me mi concedeva, e quanto fuori la veemenza degli accidenti mi consentiva. Se voi credevate fare meglio, dovevate dirmelo allora, e venire a provare a quei tempi; ma voi invece me pregaste, in me confidaste, chè di fare voi lo esperimento mi parevate vaghi come i cani delle mazze.
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