Non era tempo quello di dichiararsi? Forse temevo della battaglia di Novara, forse presagivo futuri infortunii, e fra questi dubbii ed auspizii esitavo? Eh! Dio mio, se il giorno delle nozze dovesse prognosticarsi quello delle esequie, invece di menare balli per gli sponsali, canterebbero l'uffizio dei morti. Il Niccolini, il quale, come raccontai altrove, mi si era messo ai fianchi per commuovermi sotto milizie e popoli onde mi costringessero a proclamare la Repubblica per via di tumulto, arringata la turba, sospinse una mano di Lucchesi a venirmi incontro incappucciata di certi strani berretti vermigli, e a gridare smaniosa: Repubblica! Repubblica! Come io loro favellassi domandatelo all'Accusa. Ella nei suoi Documenti ne riporta uno di mio, dove leggiamo impresse queste parole: "Il Governo ha assunto il carico di mantenere tranquillo il Paese finchè l'Assemblea Nazionale non decida delle sue sorti: questo intende fare con ogni suo sforzo supremo, e questo farà(547)." E tale Proclama, o Bando ch'e' si voglia chiamare, era pubblicato nel 26 febbraio 1849, un mese innanzi la triste notizia della rotta novarese, come l'Accusa dichiara; e se la turba coteste mie dimostrazioni accogliesse docile, doveva l'Accusa investigare; e se non lo voleva investigare, nemmeno in oltraggio al vero e in onta alla santità del suo uffizio doveva affermarmi onnipotente conduttore delle moltitudini. In Firenze si raddoppiò la piantata degli Alberi, si suonarono campane, si spararono archibugi, si levò tale e tanto schiamazzo, che io per me credo, che se avessi allora avuto l'onore di tenermi accanto consigliera l'Accusa, mi avrebbe scongiurato dicendo: "Piegate ai tempi; prendete nappa rossa, e gridate Repubblica!
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