In proposito di cotesta Legge la Costituente Italiana del 13 febbraio 1849, prendendo a discutere strettamente la materia con raziocinii affatto rivoluzionarii, dopo avere detto con focose parole quanto ho riportato a pag. 333 e 334 di questa Apologia, continuava cosė: "Noi lo ripetiamo ancora una volta ai Cittadini del Governo Provvisorio: osate, osate. Unione con Roma e convocazione della Costituente. L'istinto popolare nel suo squisito buon senso ha giā precorso il vostro giudizio, e domanda questa Unione. Voi avete udito il suo grido di gioia, e il saluto a quella Repubblica per cui vuol vivere e morire; voi potete e dovete sanzionare quel saluto e quelle grida." Nel successivo N° del 14: "Abbiamo meditato sopra il Decreto che convoca un'Assemblea legislativa toscana, e, in onta alla buona intenzione, non abbiamo saputo indovinarne le ragioni politiche, nč il principio di diritto. Un'Assemblea uscita dal suffragio universale, in un Paese abbandonato al Provvisorio, o non ha voto, o non ha senso, o si colloca come Sovrano in faccia al Popolo da cui fu eletta."
E dietro lei la folla dei Giornali del Partito, urgentissima tutta, come se si trattasse di scaldare al fuoco mozziconi di candela di cera e appiccicarli insieme! In veritā io non capisco pių dove sia andato il senno italiano. La massima parte dei Popoli, repugnante o inerte, come spingiamo noi? Con questo strepito forse? No certo: con che cosa dunque? Col terrore; e questo non dovevate, nč potevate domandare a me; e a questo dovevo oppormi, e mi opposi.
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