Doveva dubitare di Gino Capponi amico ventenne, mio confortatore nei primi passi che mutai nel sentiero delle lettere umane? Poteva sospettare io avrebbe sofferto a tenere di mano ad una prigionia, la quale me ha disertato e la mia casa, quel Capponi che nel 25 gennaio 1848, al Carcere Elbano, così mi scriveva: "Per me, che io ti abbia a scrivere in cotesto luogo, è cosa tale che io pongo tra le afflizioni della mia vita: dispiace a tutti, credilo pure, e a me più che ad altri, per quella antica familiarità ed affezione che ora mi preme più che in altro tempo di attestarti; credimi ec.?" Poteva dubitare che me volesse prigione e calpestato e distrutto Orazio Ricasoli, uomo che mi era parso di cuore dolcissimo, e che tante grazie, pochi giorni innanzi, mi aveva profferto per non crederlo capace di turbare lo acque già torbide? O Digny e Brocchi, che, lasciato da parte quanto fu discorso fin qui, la sera stessa del ricevimento dei Legati Romani, avevano tenuto meco discorso lunghissimo, nella Sala del Guardaroba in Palazzo Vecchio, intorno alla necessità della Restaurazione Costituzionale? O il Marchese Torrigiani, col quale intervennero onestissimi officii, di cui le inchieste sollecito compiacqui, e a cui la sospetta lettera senza sospetto rimisi? O il Senatore Capoquadri che, Ministro di Giustizia e Grazia, volle, per eccezione amplissima ed onorevolissima, che senza esame la Curia fiorentina nell'Albo degli Avvocati potesse ascrivermi? quel Senatore Capoquadri, il quale, da me visitato Ministro, mi palesò breve sarebbe la sua durata al Ministero, dacchè l'animo suo non gli consentisse patire certe emergenze che non gli parevano regolari del tutto; onde io da lui dipartendomi nello scendere le scale ripeteva col Dante:
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