) lo dirò, perchè la mia difesa è sacra: minacciarono strangolarmi, se io non avessi consentito a formar parte di loro. Immani cose e spregevoli! Forse il mio sangue potrebbe animare un secondo Trasibulo, non certo uno dei trenta Tiranni. La prima colpa, e il mal seme delle calunniose persecuzioni fu questo, - il mio aborrimento a entrare nel novero di cotesti Tiranni da dodici al quattrino. Io mi posi in disparte, e non valse: costoro non pure in Livorno, ma in Toscana, ma in Italia, me predicarono furibondo Gracco, me invaso di itterizia di sangue, me erede delle furie di Marat; ed in aggiunta agente dei Gesuiti, e compro dall'Austria, e simili altre calunnie, che mi farebbero tremare la mano se non mi muovessero a riso la bocca. Lasciamo di loro; io scuoto dal mio pensiero la loro memoria, come gli Israeliti scuotevano dai loro calzari la polvere uscendo fuori di casa abominata, - conciossiachè non sieno degni neppure di disprezzo. Ma tu, o Popolo, soffristi che io fossi tratto a vituperio in carcere, e non solo lo soffristi, ma venisti a gravare le mani, a me infermo, di obbrobriose catene! Tutto questo, perchè? Mi accusano di sette, di congreghe, conventicole insomma, dirette a sovvertire il Governo? È calunnia: io sfido chiunque ad articolare un fatto solo che induca a sospettarlo, e giuro sopra l'anima del padre mio, ch'è cosa falsa: nessuno del mio paese ardirebbe dirlo. Lo scrisse il Giornale La Italia: tale sia di lei. Parlo dei fatti del 6. Io giaceva steso sul letto infermo quando venisti in casa, o Popolo, perchè io ti servissi; cercai sottrarmi, perchè male disposto della persona e studioso di quiete; ma riuscì impossibile lo allontanamento per essere ingombro il cortile del palazzo; tornai in casa e favellai di forza: - mi lasciassero; disapprovare ogni idea di tumulto, non sentirmi capacità nè salute di avventurarmi fra coteste procelle.
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