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      Dall'un canto e dallo altro stoltezza, tranne gli ultimi: imperciocchè nei rivolgimenti degli stati bisogni mirare a fine preciso, e le sfumature non giovano; sicchè, quando i tempi grossi incalzano, tu ti trovi senza concetto, sospinto là dove aborrivi precipitare. Il popolo rimaneva come il cammello giacente sotto il peso; lo sentiva grave, ma, scarrucolato dagl'inetti novellatori di consigli mezzani, non sapeva a qual partito appigliarsi per gittarselo giù dalle spalle. Correva l'aprile del 1527 quando Dio, accecando i nostri oppressori, consigliò al cardinale Passerini da Cortona di lasciare Fiorenza e andarsene in compagnia d'Ippolito e di Alessandro e della Corte a Castello per complire il duca di Urbino, il quale si era quivi ridotto con l'esercito della lega. Valicate appena le porte, i giovani, come quelli che nella mente loro concepivano un disegno assoluto e virile, levarono rumore, uscirono armati dalle case Salviati e, tratti i gonfalonieri delle compagnie, si recarono ad assaltare il Palazzo. Nessuno si oppose; però che gli stessi avversarii, discordando nei pensieri, argomentassero nel tempo in che faceva bisogno adoperare ferocemente le mani. Il popolo restava inerte, chè la tirannide lunga lo teneva assopito; ben era aperta al lione la gabbia, ma non osava lanciarsi; era la sua catena spezzata, ma non ardiva scuotersi per gittarne lungi i frammenti; guardava, non sapeva e, gridando libertà, libertà! applaudiva. Baccio Cavalcanti, salito in Palazzo a nome dei giovani, impose al gonfaloniere e alla Signoria bandissero i Medici: alcuni dei Signori che, per godere il benefizio del tempo, s'ingegnavano interporre indugi rimasero feriti; mandato a voti il partito, nessuno dissenziente, i Medici ebbero il bando.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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