Divenuto caro al principe di Orange per la sua piacevole natura e più per l'ingegno maravaglioso col quale sapeva condurre le imprese avviluppate e difficili, cominciò, secondo il costume dei fuorusciti, a dargli ad intendere che avrebbe ribellato Arezzo, che stava in sua mano il destino della città, che la voleva consegnare a lui solo; e a queste aggiunse altre più cose assai, a cui il principe o credendo o piuttosto simulando credere, gli diede patente amplissima per vedere che cosa e' sapesse fare. Il conte si abboccò con i suoi partigiani, gli adescò con l'antica lusinga della libertà, come se ribellarsi a Firenze per vivere nel dominio del principe potesse chiamarsi libertà, apparecchiò armi, raccolse danari, e le bandiere notate da Lupo alle finestre della villa erano il segno convenuto pel quale i congiurati, mosso rumore in città, dovevano dare campo a quei di fuori di assalire le mura senza troppo lor danno. Veramente, se la codardia dell'Albizzi non fosse stata, cotesta impresa avrebbe avuto il termine a cui vediamo ogni giorno capitare i tentativi dei fuorusciti; ma in ogni modo adesso si facevano manifesti i prudenti consigli di Nicolò Machiavelli e la imprevidenza dei capi.
Il capitano Ferruccio, a cotesto spettacolo doloroso, diventò pallido come la morte: grondava sudore; all'improvviso traendo l'Altoviti davanti una immagine riposta in certo tabernacolo sopra le mura dei quartieri, parlò:
Iacopo, giuratemi per questa immagine benedetta che voi non renderete la cittadella, se prima non ne venga l'ordine dai Dieci.
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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano 1869
pagine 1163 |
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