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E siccome l'Albizzi, esterrefatto, si guardava attorno e poi i suoi occhi negli occhi del Ferruccio fissava, quasi per domandare chi fosse quel suo implacabile nemico ed in qual modo lo potesse accusare dopo che egli con tanto sottile accorgimento gli aveva onestata la fuga, il Ferruccio, forte percotendosi il petto, esclamò:
Io sono quel desso!
L'Albizzi, profondamente avvilito, non riusciva a formare parole. Stettero alquanto in silenzio, e quindi riprese il Ferruccio a favellare così:
Io però non vi odio, Antonfrancesco... nè voi... nè altrui...; odio la colpa... il colpevole non posso...; nè vorrei che voi moriste disonorato, no... non vorrei; il vostro delitto è certo, certa la pena...; se il piè ponete in Fiorenza, il palco infame vi aspetta; ponetevi in salvo pertanto, cercatevi un asilo finchè vi si offra modo di morire onoratamente combattendo per la patria..., dico morire... dacchè vivere più non potete; quando pure vi poneste sul capo gli allori di Alessandro e di Cesare, non basterebbero a gran pezza per ricoprirvi il brutto segno che l'ultima vostra azione v'impresse nella fronte; solo può rigenerarvi il battesimo di sangue..., perocchè allora i cittadini, l'andata vita tacendo, incideranno sopra la vostra lapide queste parole: Morì per la patria; e i posteri, senz'altro cercare, l'anima vi conforteranno di suffragi e la memoria con le lodi serbate ai valorosi...
E stava per continuare, quando, per la via traversa che mena alle castella del contado, ecco apparire un uomo di villa accorrente a gran fretta, levando dietro a sè un lungo polverio.
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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano 1869
pagine 1163 |
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