Incalzando i Tedeschi, noi non temevamo delle artiglierie, sendo avvertiti che non ne avevano: ma nella notte il duca Alfonso di Ferrara, secondo che il diavolo lo persuase, nascosti dentro certe barche di vettovaglia mandava loro pel Po quattro falconetti; e in questo modo egli fu cagione prima della ferita, poi della morte del signor Giovanni. Imperocchè, trasferito a Mantova in casa Luigi Gonzaga, gli furono attorno i cerusici e deliberarono segargli la gamba. Quando io lo vidi accomodato sopra la sedia, mi tremarono i polsi, mi sentiva scoppiare il pianto, che pure trattenni per non isconfortare quel povero signore. - Egli poi guardava le seghe, i coltelli, le tanaglie e l'altro apparecchio infernale da cacciare i brividi addosso a chi non ci aveva a far nulla; e sorrideva. Intanto Abram giudeo, scamiciato fino ai gomiti, cominciò a tagliare, rasente la ferita, le carni. Il signor Giovanni siede e guarda; io, temendo non lo facesse trasalire lo spasimo, me gli accosto e lo recingo con le braccia alla cintura. Quasi gli avessi fatto ingiuria, mi si rivolge con mal piglio e grida: Ch'è questo che fate, Lupo? Andate via: io so molto bene reggermi da me senza li vostri ajuti. - A Dio non piacque salvarlo. - Dopo pochi giorni rimase spento con danno inestimabile della milizia italiana quel pro' guerriero, bellissimo di corpo, forte di braccio, ingegnoso, feroce, nella età verde di ventinove anni. Corse voce nei tempi, papa Chimenti corrompesse il cerusico giudeo, e questi gli segasse la gamba con ferri avvelenati.
| |
L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano 1869
pagine 1163 |
|
|
Tedeschi Alfonso Ferrara Giovanni Mantova Luigi Gonzaga Abram Giovanni Lupo Dio Chimenti
|