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      O Dio, che avverrà di messer Dante?
      diceva un popolano. "A questa ora possiamo recitare un De profundis a messer Lionardo", esclamava tal altro. - E ognuno andava ricordando l'uomo in cui aveva maggiore affetto riposto. I dodici Buonuomini tenevano le porte custodite diligentemente: da qualunque lato meno impossibile penetrare in palazzo oltre le porte; quelle partigiane forbite toglievano l'animo ai più audaci. Intanto la fama diventava più limpida; una contesa era avvenuta, ma non tanta; le ferite nulle, tutti concorrere nella guerra, da uno solo in fuori, il gonfalone del drago verde: gonfaloniere del drago essere Bono Boni dottore di leggi. "Quell'uomo pio....", cominciava a favellare un Pallesco. - "Che pio e che non pio?" interrompeva un Arrabbiato: "egli è un gabbadeo, un furfante da ventiquattro carati, un ribaldo da mandarsi al mare per bastonarvi i pesci(129), un pendaglio da forca. - Alla Dianora mia zia rubò la dota; - a Braccio vaiaio divorò le campora di Brozzi; - e' inghiottirebbe la luna se gli riuscisse agguantarla." - "Chetatevi, male lingue", parlò certo vecchio autorevole fra il popolo: "la vostra bocca fa peggio della campana del bargello, che suona sempre a vituperio," - "Fratel mio", gli rispose un vispo popolano, "le cose e' si chiamano pei nomi che hanno. Se io vi salutassi: - Ciapo calzaiuolo; che Dio vi abbia nella sua santa guardia, - lo torreste in mala parte? Mai no, perchè vi chiamate Ciapo e siete calzaiuolo; così se diciamo: - Bono Boni dottor di leggi è ladro, - egli è perchè comprende l'una e l'altra cosa.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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