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      - Ciò detto partii. - Bene, nei giorni successivi e nelle notti non disusai aggirarmi per quelle contrade e di tenere fisso lo sguardo al palazzo; d'ora in poi mi fu chiuso come il sepolcro: i vicini interrogati rispondevano non avere più veduto la fanciulla nè donna altra di casa; aggiungevano alcuni: Forse la menarono in villa. Ed ecco ch'io percorro le campagne, prendo voce, indago, per iscoprire mi travesto, e sempre invano; così che alfine ne perdo affatto ogni traccia. Spesso, di animo e di corpo abbattuto, truci immaginazioni mi spaventavano: - l'avessero uccisa! - e la morte di lei in cento modi diversi e tutti terribili agitava la inferma mia mente; - appena io mi era ristorato alquanto, tornava col mattino la speranza... Voi ben sapete come sia la speranza palpitante e vitale nel giovane innamorato. - Alfine io sopravvissi alle sue lusinghe e, fatto cadavere prima di chiudere gli occhi al sonno eterno, mi distesi muto sul letto aspettando e invocando la morte. Le lagrime del povero padre mio che amava tanto e la poca vita tenace a rimanersi mi concitavano a sdegno, sicchè un giorno empiamente gli dissi: Lasciatemi in pace, padre mio: il male maggiore mi venne da voi quando mi deste la vita; ora concedete che al vostro misfatto io ripari procurandomi la morte! - Mio padre cessò il pianto, e seduto a lato del letto mi abbracciò con ambe le mani le ginocchia dicendo: - Moriamo insieme; - ed io: - Moriamo, se così vi talenta. - E certo morivamo di inedia, quando sul declinare del giorno udimmo strepito alla porta della camera, e subito dopo entrare un giovane di oneste sembianze, il quale piegatosi al mio orecchio susurrò: - Per quanto vi è cara la vita di colei che amate, sorgete e venite meco!


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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