Vinsero al tempo stesso per amore del Carduccio una legge per la quale il gonfaloniere cessato doveva intervenire alle pratiche ed avere voce; cosa che, somministrandogli comodo di vedere il male, non partecipava del pari potenza ad emendarlo.
Nè in campo si viveva meglio che in città; quivi peste era e fame e penuria di tutte; le paghe nulle; i soldati ridotti a campare di rapina.
Nella tenda di Filiberto principe di Orange giocavano chi a dadi, chi a scacchi, giuochi, se la tradizione ci racconta il vero, trovati da Palamede all'assedio di Troia; i più a carte come le inventò il Grignoart, per trastullo all'imbecilità di Carlo VI re di Francia, o modificate a tarocchi, scoperta non invidiabile degl'ingegni fiorentini, i quali vollero significare nei re, nel diavolo, nel papa e nelle rimanenti figure scherno o ira contro le fazioni prevalse nel governo della Repubblica: carte e figure le quali adesso non rappresentano più nulla, tranne un consumo di tempo che, attesa l'erpete morale della presente società, non può riputarsi male impiegato per la ragione che diversamente si correrebbe rischio d'impiegarlo anche peggio.
Oh! no; una parola mi è sfuggita dai labbri che l'intelletto riprova. Invano cercheresti nel mondo cosa che più del giuoco tornasse funesta agli uomini. Egli conduce seco per mano la ignoranza, la miseria, la disperazione, - più tardi il delitto. Vi rammentate il dipinto del Pussino il quale rappresenta il Tempo che suona la danza alle Ore? Così il giuoco canta in disparte un canto satanico, per cui quelle quattro furie imperversano baccanti, calpestando il cuore dell'uomo.
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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano 1869
pagine 1163 |
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