Voi potrete trovare questa lettera stampata nel giornale L'amico d'Italia (Iddio ci liberi da amici siffatti!). E non pertanto questo conte Alfieri è quel desso che in altri tempi flagellò acerbamente i patrizii col verso famoso: Or superbi, ara vili, infami sempre. - L'Alighieri sentiva della nobiltà da profondo intelletto quando cantò:
O poca nostra nobiltà di sangue,
Se glorïar di te la gente faiQua giù, dove l'affetto nostro langue,
Mirabil cosa non mi sarà mai:
Che là dove appetito non si torce,
Dico nel cielo, i' me ne gloriai.
Ben se' tu manto che tosto raccorce;
Sicchè se non si appon di die in die,
Lo tempo va dintorno con le force.
La lunga serie di personaggi incliti nella medesima famiglia induce maggiore obbligo nel postero di continuare la splendida via tracciata da quelli. La condizione apposta da Dante è necessaria, onde la gentile prosapia si abbia a tenere in pregio appresso la gente. In nessuna epoca come nella nostra vedemmo il poco conto si debba fare delle ingiurie buttate dalla plebe in faccia alla nobiltà. Finchè durò duro l'impero di Napoleone, seguì per via dei matrimonii un cambio continuo tra nobiltà e danaro, ed anzi egli ne fece argomento della sua politica governativa(184). Quante fraudi di mercante non ricoperse un mantello di duca! Ai giorni presenti voi conosceste l'aristocrazia dei mercanti: ditemi di che cosa vi seppe cotesta aristocrazia? più che innamorato alle sembianze della donna diletta, il mercante si strugge dietro alla frazione di una moneta.
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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano 1869
pagine 1163 |
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