Allora un poeta del popolo fece certa canzone la quale tuttavia si rammenta. Carlo alla mattina conobbe impossibile lo assalto: mutato modo di guerra, pensò averla per fame; vi stette attorno circa due mesi invano, poi gli fu forza lasciare con sua vergogna la impresa.
E la canzone come diceva ella?
richiesero le donne.
Della canzone i tempi serbarono una strofa sola.
Ditela su, noi la vogliamo sapere.
Ella dice così:
Deh! com'è gran doloreLe donne di Messina
Vederle scapigliatePortar pietre e calcina(201)!"
Oh! continuate, andate innanzi...
L'altro s'ignora...
Ce lo ponete di vostro, per poco che siate poeta.
Ma io non sono poeta.
Continuate... continuate... per quanto amore portate alla vostra donna.
E Ludovico sospirando riprese a cantare: -
Deh! quanto è gran doloreRuinar di nostre mani
L'arche dei padri nostriLi tempii dei cristiani!"
Le donne per istinto di armonia ripetevano in coro:
Deh! quanto è gran dolore
E Ludovico di nuovo:
Deh! quanto è gran dolorePensar che a tal destino
Mena la madre patriaUn papa e un cittadino.
Ma di tener Fiorenza
Non avrai, papa, il vanto,
O tu l'avrai morentePer darle l'olio santo."
E così continuarono finchè n'ebbero vaghezza.
Il Baglione, quando prima vide la moltitudine precipitare alla rovina dei borghi e lasciarlo spregiato, lo vinse l'ira per modo che, dato degli sproni nei fianchi al suo muletto e quindi tirate forte le briglie, lo tormentava in istrana maniera, sicchè quel misero animale scalpitava, si agitava e grondava sudore. Volendo poi tornarsene alla sua stanza, nel volgersi che fece, gli occorse Zanobi Bartolini, il quale, piegato il capo sul seno, non si era mosso; onde in passandogli da canto esclamò:
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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano 1869
pagine 1163 |
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Messina Ludovico Ludovico Fiorenza Baglione Zanobi Bartolini
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