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      CAPITOLO DECIMOSESTO
     
      LA VENDETTA
     
      Non ha virtù che di corrucci e sangue:
      Derisor dei mortali e dei celesti,
      Nè di patria gli cal nè di fortunaNè di sè molto: forte nacque e pugna.
     
      AJACE
     
      Era compiuto un giorno, e il secondo declinava verso vespero, dacchè il Morticino degli Antinori cibo non gustava nè bevanda: la lingua arida gli sta attaccata al palato, gli cerchia la gola insopportabile bruciore; talvolta un freddo sottile dai reni gli scorre su per le vertebre della spina o gli stringe il cervello, tal'altra lo invade dal capo alle piante una ondata di sangue, quasi lavacro di metallo fuso; spesso gli sfugge di sotto la terra gli si piegano le ginocchia, ed accenna cadere, - non pertanto rimane disperatamente fisso al suo posto, immerso entro un abisso di dolore e di furore.
      Accomodato il corpo del giovane Frescobaldi sopra una bara, con la sua destra gli stringe la destra e lo viene, di tanto in tanto, guardando.
      Ahi com'era da quello di prima diverso! Le belle chiome, sua giovanile alterezza, ora di sangue sordidate e di fango, ne rendono orribile l'aspetto, gli occhi ha pesti; pei labbri, donde così feroce prorompeva il grido di guerra, su per le narici che aspiravano tanto largo sorso di vita, - l'insetto sorvola, - si posa, - trascorre, quasi sopra propria posessione; la morte lo abbracciò, e la putredine segna il vestigio di quell'amplesso; - la morte gli soffiò sopra e spense una vita di uomo e ne suscitò un'altra schifosa a vedersi, - la vita dei vermi brulicanti nei cadaveri corrotti.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





Morticino Antinori Frescobaldi