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      Al quale invito il Villena rispose: Volentieri, purchè fin d'ora la Sacra Maestà Vostra mi conceda privilegio di rompere una legge. - Qual legge? domandò Sua Maestà, turbato la sua preghiera si ponesse a patto. - La legge, disse il marchese, - che ereditammo dai Romani, di non deturpare di rovine la città. E Sua Maestà, non intendendo la ragione di cotesta istanza e d'altronde conoscendo il cavaliero uomo savio e discreto, se ne stava tutto maravigliato; alla fine riprese: Sieti concesso, purchè ti piaccia manifestarcene la causa. - Perchè, con molto terribile voce grida il cavaliere, - perchè appena ne sia uscito il Borbone, io lo darò alle fiamme come palazzo contaminato d'infamia, indegno di essere abitato più oltre da uomini d'onore(238).
      Udita la pungente risposta, il principe si rimase con ambe le mani appoggiate su le teste di grifo le quali terminavano i bracciuoli della sua sedia, - col corpo sporto in avanti - a bocca aperta, - intento nella faccia del marchese di Villafranca, come persona che cerca e non trova nella sua mente un'idea che valga per contrapporsi a quel duro racconto.
      E il Bandino di baldanzoso adesso si stava spossato sotto un peso d'insopportabile infamia; era diventato colore di cenere; gli occhi teneva fitti alla terra ansioso di vedere se si fendesse per nascondervisi dentro; - pareva l'adultera del Vangelo piena di vergogna e di paura di esser colta dalla prima pietra che incominci la sua lapidazione. Nè sacerdote mai nè tiranno seppero; con la feroce loro immaginazione inventare tormenti, non che uguali, secondi a quelli che adesso soffre il Bandini; e ben gli stanno, - imperciocchè gli occhi degli uomini non si alzerebbero più al cielo, dove non fosse abitato da un Dio che rugge terribile intorno all'anima dei traditori, della patria.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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