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      Adesso il commissario abbandona per istoltezza quanto aveva in virtù della forza conseguito. Lasciandosi aggirare dalle insinuazioni dei maggiorenti tra i Volterrani e malgrado le proteste dei più savi, impone ai capitani Goro da Monte Benichi e Paolo Côrso ritornino alle stanze fuori di Volterra. Usciti appena dalle porte, chiudono i cittadini le imposte e si fanno ad assaltare le due compagnie rimaste: insufficienti a sostenere l'impeto, uscirono anch'esse, più che di passo, di Volterra, ed accozzatesi con le altre due, piene di mal talento presero la volta d'Empoli.
      Parendo, com'era, grave fatto cotesto, la Signoria di Firenze provvide ai rimedii mandandovi Bartolo Tedaldi con due compagnie; partito intempestivo quando inefficace. Avendo prevalso le parti dei Medici, al Tedaldi parve somma ventura ricoverarsi co' soldati in cittadella. I Volterrani, liberati dalla sua presenza, convengono a patti con Taddeo Guiducci commissario del papa; poi mandano oratori a Clemente e ne ottengono laudi, benedizioni e promesse, di cui non fu mai penuria in corte di Roma.
      Procedendo del tutto avversi alla Repubblica i Volterrani, ed a ciò confortandoli Alessandro Vitelli, costruiscono bastioni, innalzano cavalieri, turano le bocche delle strade che menano alla cittadella, e le case opposte riducono ad archibusiere per offendere chiunque si avvisasse sortirne per irrompere nella terra. Temendo poi fossero pochi i soldati stanziati colà per sostenere le parti del papa, condussero dugento fanti, poi altri cento, finalmente chiesero ai Sanesi artiglierie e munizioni.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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