Non gli ascoltavano; imperciocchè dove abbia la fatica vinto il corpo davvero, nè volere proprio nè esortazioni altrui giovano nulla. Più degli altri, ma con profitto pari, procedeva acceso ad eccitare i soldati il capitano Nicolò Strozzi, strenuissimo cavaliere, a cui taluno, potendo appena aprire gli occhi, rispose:
Vedete, anche il signore commessario ha lasciato la presa: l'uomo fa quello che può; lasciateci in pace.
Di vero Nicolò si guarda attorno e non vede il Ferruccio: presa lingua di quello che ne fosse accaduto, seppe essersi ritirato poco prima in fortezza; e là essendosi fatto con presti passi a cercarlo, lo trovò che, avendo rilevato un embrice sul capo, temendo venir meno dallo spasimo, ed i suoi si perdessero di coraggio, si era ridotto in fortezza per prendere un po' di ristoro e poi tornare. Appena il capitano Strozzi con parole succinte gli ebbe esposto la causa la quale a lui lo conduceva, il Ferruccio, senza profferire motto, salta su in piedi e corre via; dietro a lui si mette Nicolò. Passando per le strade della città, lo Strozzi dal rinnovato traboccare dalle finestre di sassi e tegoli si accorse che i Volterrani riprendevano fiato, e si accorse eziandio come il commessario, spinto dalla sua impetuosa natura, fosse uscito senza celata, sicchè ad ogni istante correva pericolo di restar morto sul tiro. Nemico era lo Strozzi del Ferruccio e per causa onorata; e la guerra e il comandamento espresso dei Dieci avevano piuttosto sospesi che spenti gli scambievoli rancori: non pertanto, conoscendo come nella virtù di cotesto uomo fosse ormai riposta la salute della patria, si levò di capo la celata e la pose su quello del Ferruccio, senza che questi, tanto era preoccupato a rinnuovare l'assalto, ci ponesse mente.
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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano 1869
pagine 1163 |
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