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      Le palle urtando in quelle fragili difese le dirompevano con alto fracasso, - i frantumi schizzavano lontano, causa anch'essi di dolorose ferite.
      Ora il marchese, imbaldanzito per lo avventuroso successo, spinge francamente i suoi soldati all'assalto: e per meglio tutelarli, mentre si accostano alla breccia, raddoppia il fuoco delle batterie; la morte passeggia nel trionfo della distruzione.
      Fermi!
      urla il Ferruccio, - e il frastuono e l'anelito non gli concedono formare altre voci: "fermi! viva la Repubblica!"
      E nell'estro della battaglia faceva mulinello della picca; una palla gli porta via la picca, una schiappa nel tempo medesimo lo priva del cimiero; i suoi gli cadevano attorno come pomi maturi da un albero scosso fortemente nel fusto.
      Goro!
      diss'egli voltandosi al capitano Goro da Monte Benichi, "dammi la tua picca, e tu va per un'altra, perchè io non mi posso muovere."
      Una archibusata fracassa la gamba al povero Goro, che stramazza per terra e cadendo risponde:
      Messere Francesco..., anch'io non posso muovermi...; mi hanno portato via le gambe.
      Il Ferruccio si sentì bagnare il volto, - se lo asciugò pensando fosse sudore, - ma erano lacrime suo malgrado sgorgate, perchè sebbene avesse altre volte voluto impiccare questo capitano a Empoli a cagione del pronto stendere le mani su la roba altrui, ciò non guastava punto l'affetto che gli portava pel forte menare delle mani contro i nemici della Repubblica; ond'è che, piegato il capo dalla parte opposta, soggiunse:
      Signor Camillo, porgetemi la vostra.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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