CAPITOLO VENTESIMOSESTO
IL TRADITORE
Riguardate e vedeteSe v'è dolore pari al dolor mio! -
GEREMIA.
La mia storia si approssima al fine, - ma per arrivarci meglio egli è mestieri rifare i passi e tornarcene indietro: non te ne dolga, o lettore; - vedrai una donna, e forse ne sentirai meraviglia, ad un punto e compassione, perchè questa donna sarà una madre addolorata.
La notte in cui fu arrestato Lorenzo Soderini, Cencio Guercione recò immediatamente la nuova a Malatesta, imperciocchè Cencio fosse uno di quelli che dovevano intervenire al ritrovo, ad istanza del Baglione suo signore, il quale, per istarsene appartato, non voleva meno, a guisa di ragno al sommo della tela, avere in mano le fila di quanto in Firenze si operasse o dicesse.
Appena ebbe posto fine Cencio al suo parlare, Malatesta, sporgendo fuori del letto, dove se ne stava giacente la gamba destra ed agitandola a modo di spronare un cavallo, prese a dire:
Cencio, andiamocene; sento un'aria di forca che mi stringe la gola; va', sella i cavalli... mi pare che la terra mi manchi sotto...
Parlate daddovero, messero? Adesso? Sul punto di raccogliere la mercede delle onorate nostre fatiche?... io rimango.
Cencio, i beni senza la vita non valgono nulla.
E la vita senza i beni vale anche meno; addio al sangue dei Baglioni vostri crudeli parenti e nemici; - addio Bevagna, Tunigiana e le altre terre e castella: rimanga il nipote senza vescovado, - Ridolfo vostro senza la duchessa di Camerino. - Ah! voi mi fate pietà.
Usciamo da questo inferno, - diamo la porta al Principe e lasciamolo a sbrogliare le sue faccende con la Signoria.
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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano 1869
pagine 1163 |
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