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Vuoi tu ragguagliarmi di quanto hai ascoltalo tra il popolo?
Il popolo, signor Baglioni, all'ora che fa, pensa ad altro che a novellare; - egli gode ciò che non possiamo ottenere più noi, - la pace del sonno.
Io ti comprendo, Cencio; il dispetto ti rode; tu mi porti rancore e immagini arrovellarmi col tuo segreto: - tientelo, non so che farmene, - se l'acqua ti ha concio, peggio per te. Io ho bevuto intanto del buon vino, e mi riconfortò le viscere; poc'anzi hai confessato che senza di me non potresti andare; io invece procedo molto bene senza di te; - va', lasciami dormire.
Or via, udite Malatesta...
Non voglio ascoltar nulla. Vassallo, obbedisci al tuo signore e lascialo in riposo... i rimorsi mi fanno morbido il guanciale, - il pericolo mi serve di letto: - anima volgare, a te lascio la veglia con tutte le sue paure di questo mondo e dell'altro.
Non ha per ora più bisogno di me!
susurrava Cencio Guercio; "sconterai la superbia alla prima occasione."
Venti giorni dopo il colloquio riferito qui sopra, la campana del palazzo di giustizia, chiamato volgarmente il Palagio, suonava a raccolta.
Chiamava la Quarantia al giudizio di sangue: di ciò facevano fede i leoni coronati, il gonfalone appeso accanto alla porta del Palagio, i magistrati che si vedevano traversare il cortile e salire su per la immensa scala vestiti di cappe rosse.
Quando accennammo brevemente la forma del governo di Firenze, dicemmo come levata agli Otto la facoltà di far sangue, la concedessero alla Quarantia, ed avvertimmo ancora come dei due fondamenti i quali costituiscono l'ordinato vivere civile i nostri padri, periti del primo, cioè del diritto di ogni cittadino a partecipare la suprema autorità dello stato, ignorassero il secondo, la sicurezza personale.
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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano 1869
pagine 1163 |
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