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      Però conobbero la insidia latente; composta appena l'agitazione, si scompigliò di nuovo l'assemblea, diverse voci si fecero sentire soperchiando il trambusto: Siamo dunque venuti a questo? - Il parlamento - la balìa, - questo è un volere mutare lo stato. - Non ci par farina del suo sacco. - Io ben conosco chi fa fuoco nell'orcio. - Si udì mai maggiore impudenza di questa? - Forse non costituiva il popolo questo libero reggimento, - non elegge egli i maestrati? - Guai se piegano a siffatte enormità! - la patria sarebbe perduta.
      Rafaello Girolami, quando prima potè farsi ascoltare, favellò:
      Signor Malatesta, voi non siete chiamato qui come consultore, molto meno come ordinatore; voi ci dovete la fede vostra. Da voi non desideriamo sapere se dobbiamo fare o non fare una cosa, sibbene il modo di farla. Se nei momenti di maggiore urgenza, i maestrati dovessero aspettare per risolversi il consiglio di tutti i cittadini, nessun governo potrebbe rimanere in piedi tre mesi. Inoltre Fiorenza aduna il parlamento quando muta stato. Intendereste voi forse rovinare questo reggimento? Non lo crediamo. Voi tutti uomini di guerra qua dentro raccolti, vi pare egli possibile l'assalto del campo con speranza di riuscita?
      I capitani, specialmente i Guasconi, con i gonfalonieri, risposero tutti ad una voce altro non desiderare che venire alle mani con quei di fuori; essere dispostissimi a vincere con onore, o a morire senza vergogna; potersi assaltare il campo scemato com'era del fiore dei combattenti, potersi ancora, come spesso avevano provato, assaltare pieno di gente, purchè i Signori li badassero alle spalle, nè, mentre presentavano il petto al nemico, il traditore tagliasse loro per di dietro i garretti.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





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