Nicolò Masi di Romania, nel quale riviveva pure una scintilla di greco valore, non rispose e non si mosse. L'Orange stimolando il cavallo gli giunge appresso e rinnova la intimazione, e poichè la vide tornar di nuovo invano, gli si stringe addosso, animoso sollevando la spada.
Allora il Masi con stupenda celerità, prima che il colpo della spada calasse, si alzò su le staffe, con ambe le mani strinse la mazza di arme e ne percosse l'elmo del principe in modo che questi perdette la sinistra staffa e piegando il capo confuse i pennacchi del suo cimiero con quelli che fregiavano il frontale del cavallo. Comecchè intronato, l'Orange si rilevò furioso e menò sul Masi manrovesci e fendenti che certo gli avrebbero recato assai danno, se gli occhi abbarbagliati per entro vortici di fiamma gli avessero conceduto assestarli meglio, o se da meno fina armatura il Masi stato fosse difeso. L'astuto Greco però, seguitando il duello, a mano a mano si ritirava sperando di farlo prigione, cosa che avrebbe dato vinta l'impresa, e il principe ormai cieco della mente cadeva certo nella insidia, se il conte da San Secondo e Giovanni Bandini non avessero eccitato quanti stavano appresso di loro fanti ed uomini di arme a portare soccorso al capitano.
Per poco che tardiamo
, essi dicevano, "non saremo più in tempo. Avanti Herrera! Avanti Rossale! Dove non occorre pericolo non si acquista gloria; ove si avventura il capitano deve inoltrarsi anche il soldato."
Herrera e Rossale si avanzano co' loro squadroni; il volto hanno pallido come codardi, e pure si mostrano animosi nei moti; passando a canto al Bandino, questi a voce sommessa dice all'Herrera:
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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano 1869
pagine 1163 |
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