In cotesto cumulo di gente, comecchè mosso da passioni diverse, ardeva immenso il desiderio di vincere; - gli uni per vendicare la vergogna, gli altri, quelli della Forra Armata, per orgoglio che fosse detto di loro: il colonnello di monsignore Ascalino salvò l'esercito imperiale a Gavinana.
Ferruccio brandiva la picca, la quale per essere adoperata dagli Stradiotti cavalleggeri greci si appellava stradiotta(337), e accompagnato dall'Orsino, da Amico e Alfonso Arsoli, dai conti di Castro e di Civitella, da Agostino Gaeta dall'uno e l'altro Strozzi, da Francesco Vivages francese, da Sprone di Borgo, da Paolo e Giuliano Corsi, da Antonio da Piombino, da Giovambattista Cambiaso e dagli altri valenti capitani, giù si scaglia contro il Bracciolini, il Colonna e il Vitelli, quando, udito rumore, si volge dal lato opposto e contempla inondato nuovamente di nemici il castello. Allora gli s'intenebrò l'intelletto, gli venne affatto meno la speranza, non l'ardire nè l'animo apparecchiato alla morte magnanima; supplica gli astanti tengano testa al Vitelli finchè ritorni, e rovina dove lo minaccia maggiore il pericolo. Quasi non avesse per sei intiere ore combattuto, quasi gran parte del suo inclito sangue non gli fosse sgorgata dalle vene, apparve terribile come il Dio di Moisè. La voce, il guardo, le mani, tutta la persona insomma spirava la distruzione: "e il fatto, racconta il Cini(338), si rinnuovò con tale e tanto strepito di archibusate e di picche ch'era cosa spaventevole a sentirsi e orribilissima a vedersi, giacchè fu sì crudele e disperata battaglia che appena si poteva passare nella piazza di Gavinana impedita per i corpi morti e feriti che dappertutto v'erano ammonticchiati.
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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano 1869
pagine 1163 |
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