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      I vincitori, fatti superbi, guardavano a traverso e svillaneggiavano i vinti. I vinti, per lo contrario, venuti dimessi, si rammaricavano tacitamente di Malatesta e, dubitando di quello che avvenne, non ardivano di alzare gli occhi, non che di contrastare ai vincitori; i giovani, avvedutisi tardi dell'error loro, non ci conoscendo riparo, stavano di malissima voglia; i vecchi, veggendosi in dubbio la vita e l'avere, e invano delle loro discordie e pazzie pentendosi, stavano di peggiore; i nobili si sdegnavano tra sè e si rodevano dentro di avere ad essere scherniti e vilipesi dalla infima plebe; la plebe, in estrema necessità di tutte le cose, non voleva non isfogarsi almeno con parole contro la nobiltà; i ricchi pensavano continuamente qual via potessero tenere per non perdere affatto la roba; i poveri dì e notte in che modo fare dovessero a non morire in tutto di fame; i cittadini erano grandemente disperati, perchè avevano speso e perduto assai; i contadini molto più, perchè non era rimaso loro cosa nessuna; i religiosi si vergognavano avere ingannato i secolari: i secolari si dolevano di avere creduto ai religiosi. Gli uomini erano diventati fuori di misura sospettosi e guardinghi, le donne oltremisura incredule e sfiduciate. Ciascuno finalmente col viso basso e con gli occhi spaventati pareva che fosse uscito fuori di sè stesso, e tutti universalmente pallidi e sgomentati temevano ognora di tutti i mali, e ciò non senza grandissime e gravissime cagioni.
      La mala belva caccia fuori gli ugnoli, la travaglia cupidissima la sete del sangue e dell'oro; cominciava dall'oro: ostava il patto, - ma guai al popolo che non ha tutela migliore di una carta scritta!


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





Malatesta