Scolpė su quei sepolcri i crepuscoli, quasi per chiarire che i giorni nostri passano come ombra, e non pertanto quelli del tiranno, comunque brevi, si posano monumentali e solenni sopra una eternitā d'infamia; scolpė Lorenzo profondamente pensieroso presso il sepolcro perchč i pensieri del tiranno vicino alla tomba sono rimorsi. Cosė illustrava questi avelli Giovanni Battista Niccolini; e quando egli non avesse scritto altro in onore della patria, meriterebbe che il suo nome durasse immortale quanto quei marmi; e poichč egli sortiva un'anima dai cieli capace di sentire Michelangiolo, gli fu dato ancora ascoltare la morte che da quell'arche aperte vi volgeva al tiranno pieno ancora di vita e gli gridava: "Scendi ove comincia pei potenti la giustizia degli uomini e quella di Dio."
Benedetto Varchi, storico di volgare intelletto, scrive che Michelangiolo, pių per bella paura che per voglia che egli avesse di lavorare, si pose a scolpire questi monumenti(354). La musa negava al Varchi mente arguta e cuor gentile, onde potč imprendere la storia d'una repubblica pei comandi del principe; quindi non gli era dato intendere Michelangiolo. Bene all'opposto lo intese Niccolini nostro, - per la qual cosa egli aggiunse: "ma, fra gli esilii e le morti dei suoi, vendicare tentava coll'ingegno quella patria che non poteva pių difendere colle armi, e fare in quel marmo la sua vendetta immortale(355)."
Il qual concetto di Michelangiolo si ricava non mica da induzioni immaginose, sibbene pianamente dagli alti versi ch'ei scrisse in risposta a quelli di Alfonso Strozzi, che, nulla indovinando del pensiero di Michelangiolo e solo attendendo a lodarne l'ingegno, dettō la seguente quartina:
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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano 1869
pagine 1163 |
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