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      Il mio poema è finito.
      Ed ora che ho composto nel sepolcro le glorie del mio popolo, - chiuso la lapide - ed inciso sopra la iscrizione, - a che più oltre lo spirito della vita si trattiene quaggiù?
      Vorrò, prefica incresciosa, sedermi sopra gli avelli a empire di singulti le tenebre? O come vaso di etere lasciato aperto consumare, - spandendolo, - il dolore?
      No; - nel modo stesso che la terra nasconde nelle sue viscere la gemma preziosa, io voglio conservarmi dentro il seno il mio dolore. Perchè non dovrei prenderne cura del pari diligente? - Le foglie che compongono la corona della libertà sono nudrite col dolore, - le rugiade che l'alimentano, emanano dalle lacrime che la tirannide ha fatto piangere agli oppressi.
      Io nascondo pertanto la lampana sotto il moggio. - Quando apparirà l'aurora da ben tre secoli desiderata, allora la riporrò a splendere sul candelabro; - dove le fosse venuto meno l'umore la riempirò col mio sangue.
      O Speranza! o Speranza! Nel delirio del mio affanno, - nella febbre dei sinistri pensieri, io ti oltraggiai col nome di meretrice della vita. - Talvolta mi apparisti simili ai fuochi maligni i quali, - quando la notte è nera e la tempesta furiosa, - si mostrano al pellegrino smarrito e lo conducono al precipizio; - tal'altra mi sembrasti fata lusinghiera e fallace che si unisce ai passi dell'uomo, come l'ombra quando il sole tramonta, e il suo cammino volge all'oriente e lo mena lontano a insanguinarsi le piante nell'arduo sentiero della vita. - Spesso l'uomo sconfortato si abbandona a mezzo della via, e tu allora stacchi dalla tua corona un fiore stillante di rugiada e, gittandoglielo in volto, gli rinfreschi la fronte ardente di febbre, e sorridendo un sorriso di serena lo inviti a continuare di tribolo in tribolo, d'illusione in illusione fino alla fossa.


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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano
1869 pagine 1163

   





Speranza Speranza