Io ti chiamo in testimonio, o Speranza, se in mezzo alla più atroce delle sventure che mai possa aggravarsi sopra un cuore superbo, - la miseria, con la quale tentarono avvilirmi, - io mai abbia pensato a cosa che fosse turpe, - o se il mutamento della mia condizione abbia preposto a quello della mia patria.
Nel mio povero tetto educai un cipresso per tesserne ghirlande alla maestosa defunta, - e venni quotidianamente inaffiandolo col pianto dei popoli; ma poichè mi avanzava copia di umore - (non ho io avvertito ch'egli era pianto di popolo?) - spensierato vi piantai accanto un alloro, - e nello inacquarne le radici, spesso, quasi mio malgrado, diceva: Forse... chi sa?...
Ora accadde che la terra degl'incliti trapassati è stata potente ad alimentare ancora l'alloro. - Egli crebbe glorioso accanto il cipresso. La immagine della morte e la immagine della vita si confondono insieme, - i rami loro s'intrecciano, - e le frondi susurrano, quasi due amici che si ricambino misteriosi colloquii; - forse l'uno confida all'altro il segreto per cui vediamo che un Dio e un popolo non possono lungamente tenersi chiusi dentro il sepolcro.
La fenice è una favola, ma un popolo che rinasce dalle sue ceneri può essere verità...
O Speranza, - quando, votata la coppa dell'ira di Dio, ti contemplai nel fondo - io volli quinci rimoverti come la più amara di tutte le fecce, - ma tu mi parlasti dicendo: A che mi getteresti? Io sola posso riempire questa coppa della linfa di vita, - dell'acqua che scorre dalle fontane celesti, destinata al battesimo delle generazioni che rinascono.
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L'Assedio di Firenze
di Francesco Domenico Guerrazzi
Libreria Dante Alighieri Milano 1869
pagine 1163 |
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