E' fu avvertito come Roma noccia forse assai più con i sobillamenti morali, che per forza di arme, e questo non sembra possa negarsi; nè danno siffatto muove solo dai preti, ma dal Borbone altresì, e dai Francesi. Quanto alle armi, agli ordinamenti, ed ai fini del Borbone, pari a quelli del Prete, e non occorre farne altra parola, senonchè meritano considerazione due cose: che il Pontefice come signore temporale non dovrebbe prendersi la scesa di capo pei negozi di Napoli; e s'ei lo fa ci è indotto dal pensiero di rattrappare la terra pel cammino del suo paradiso, come a cui ci vuol credere dà ad intendere, che possa espugnarsi il cielo rimettendo nelle sue mani il diritto del popolo sopra la terra; se sieno fratelli in Cristo può dubitarsi, ma fratelli nella tirannide si sentono e sono: l'altra, che Francesco Borbone stanziando a Roma si è posto in luogo strategico unico al mondo, e dico unico, imperciocchè colà non pure si trovi difeso da amici potentissimi, ma gli stessi nemici confessino non volerlo o non poterlo combattere; però con sicurezza intera, a bello agio, senza pericolo di un pranzo, o di un sonno turbato, egli ordina, insidia, trama, e mantiene la guerra civile: non valeva certo il pregio superare Gaeta; in ben altra fortezza si rinchiuse il Borbone; almeno Gaeta non ci fu impedita, o poco dagli amici nostri; di Roma adesso, così ci persuadono gli amici, noi dobbiamo rispettare le benedizioni apostoliche, e gli stiletti.
Ora ecco quanto allegano Francesco di Borbone, e i suoi fazionari in prò suo e di loro.
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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno 1864
pagine 838 |
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