- Noi ripigliamo il nostro; nostro il regno, nostri i popoli; ci vengono per baratti, per trattati, in virtų di carte sottoscritte, bollate, in buona forma, e guarentite; ond'č che ce ne cacciaste fuori? O piuttosto perchč vituperando il rapitore vi avvalete della rapina? Voi barattate le carte; gli spogliati siamo noi, e voi c'infamate per ladri se per ogni via c'industriamo riagguantare il nostro; sicuro! ai nemici si ha da nocere meno, che fie possibile, ma le sono sentenze da starsi nei libri del Grozio, e del Puffendorffio; un dė queste magnifiche cose non sapevano i principi, e non facevano; oggi le sanno ma non le fanno; ecco il divario che passa tra il vecchio e il nuovo. -
A me Borbone che apponete voi? Il diritto del popolo? Ma voi tremate a verga quando obbligati mettete fuori questo diritto; le parole escono scorticate dai denti stretti, e su le labbra vi levano le gallozzole come se fossero corrosive: voi amate, e voi fate capitale del popolo come lo amo, e lo avrei curato io; un'ora libero ma per darsi il padrone, e poi schiavo per omnia saecula saeculorum amen. Ma via.. di che popolo mi contate voi? Certo non erano popolo i miei ministri corrotti per tradirmi, nč popolo i generali comprati per vendermi; e dalle mani di questi non da altri si agognavano consegnate le mie spoglie, forse il mio sangue; e poichč si voleva mutare soma, non servitų, procuravasi con affannosa sollecitudine, ch'egli, il popolo, non se ne accorgesse, e nč manco levasse il muso di su la consueta paglia che pasceva.
| |
Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno 1864
pagine 838 |
|
|
Grozio Puffendorffio Borbone
|