Io per me, quando penso alla rigidità con la quale i Romani punivano ogni più lieve fallo in fatto di disciplina, non arrivo a capire la ragione per cui i Governanti nostri nieghino, o scusino colpe, che per debito sacrosanto avrebbono a ricercare, e a percotere. - Là dove si voglia opporre, come cessata la guerra riescano carico molestissimo i volontari, noterò che carico non meno molesto proviamo le milizie ordinarie: entrambi conservate divorano le sostanze del paese, entrambi dimesse ti empiono le carceri; in altri tempi quando era lecito manifestare il proprio concetto passò fino in proverbio, che la guerra fa i ladri, e la pace gl'impicca. Se oggi la guerra faccia i ladri non cerchiamo; bene però possiamo dire essere molto verosimile li partorisca la pace, ed è per questo, che noi divisavamo un dì trasformare il soldato in agricoltore tirando partito da terreni incolti, e per salvatichezza malsani; nel quale disegno ci confermava la necessità di respingere vie via nella campagna le braccia, che affluiscono nelle città dove le menano il desiderio di guadagno più largo, o di lavoro men duro, così
che mentre le industrie manifatturiere nelle quali la Italia non può prevalere patiscono ribocco di cultori, le agricole poi ne sentono difetto. -
Proseguendo il mio discorso affermo, che la impedita annessione di Roma al Regno italico ci abbia condotto in termini di pecunia, che ormai non vedo come ci si possa trovare rimedio, almeno ordinario; ed anco questo tra gli altri tutti gravissimi è male delle rivoluzioni, o se pure vuolsi, delle trasformazioni tronche a mezzo.
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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno 1864
pagine 838 |
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