Dalla prima tassa il Ministro faceva capitale cavarne un cinquanta milioni, e tanti ne distribuì sopra le provincie italiane, assegnando a ciascheduna la sua quota: la quale misura era desunta da quattro fondamenti, i quali furono chiariti inetti a partorire giudizio buono, onde i censori ne proponevano altri, i quali a posta loro erano ripresi come fallaci: stando a quel modo le cose pareva razionale si rigettassero tutti, e su norme più idonee si stabilisse il giudizio; ma questo ai Ministri del regno italico sarebbe sembrato troppo grave scandalo, però tennero fermi i fondamenti loro, accettarono i proposti, e composto così un guazzabuglio di spropositi, stimarono ne uscirebbe spillato l'archetipo perfetto; di vero, anco Dio o non cavò fuori dal caos la luce? Nè i Ministri sè estimano niente meno di Dii, e del non avere saputo o voluto torre Roma al Papa si consolano di un'altro furto, che gli hanno fatto; hanno rubato a quel meschino di Pio IX la sua infallibilità. -
Ed è anco più strano questo altro, che il Ministro avendo prima chiesto da simile balzello cinquanta milioni, poi per istralcio si accomadasse a trenta; su di che mettiamo da parte la sconvenienza di vedere il Governo, che adopera col Parlamento a mo' di creditore di fallito; ci sembrerebbe onesto, che il Ministro domandasse leale quello, che a punto gli abbisogna o giù di lì; ma venti milioni meno su cinquanta dimostrano che o il Ministro non seppe quanto gli occorreva, o chiese pensatamente troppo per procurarsi stoppa a tappare buchi inopinati, e questo, è metodo che meritamente si biasima, imperciocchè palesi incapacità, o malafede nel Ministro, il quale chiese più che gli bisognava, e insipiente prodigalità nei Deputati, che glielo concedevano.
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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno 1864
pagine 838 |
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