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      Nei primi tempi delle rivoluzioni molti interessi laceri, o coperto, o palese travagliano lo stato novello; e da per tutto vedi scompiglio: ora preme più che mai in questo periodo climaterico l'universale trovi qualche compenso ai patimenti inevitabili; se gli assottigli il pane e tu ministragli copia più larga di libertà; se esigi piamente spietato il tributo di sangue, e tu mostra, ch'egli è per francare la Patria dalla dominazione straniera; la contentezza futura fa toccare con mano, che uscirà dal seme del disagio presente; i membri sparsi di un popolo ridotti come fratelli in una famiglia sola non pure soddisfano al precetto della religione, non pure all'ultimo provvederanno alla pubblica ed alla privata economia, ma altresì acquisteranno la potenza in ogni tempo necessaria, non già (Dio ne guardi!) ad offendere altrui, sì bene a difendere noi stessi. La divisione nostra risponde al Tedesco confitto nella Venezia, allo Spielberg, alle verghe, alle forche, alle fucilazioni, e forse, più amaro che questo, agli strazi quotidiani della gente galla.
      Nello stare strettamente uniti è posta la salute d'Italia; nè la pena di Beltramo dal Bornio, che per avere con arti scellerate diviso il figlio dal padre il Dante immagina vagolare per lo inferno, con in mano il capo tronco dal suo corpo la reputo sufficiente a cui intenda separare parte d'Italia dalla Italia. Se mi mostro, e sono implacabile contro colui, che la scemò a settentrione non meno irrequieto per quanto io valga, inchioderò nella infamia chi la menomasse a mezzogiorno; molto più, che questi non potrebbe nè anco allegare in discolpa il pretesto della necessità: non a dividere pertanto, bensì per istringere io muovo parole, persuaso, che la compagnia non dura fra genti con varia ragione aggravate; meglio vale, anzi unicamente vale, che il troppo carico dica: "io non ne posso più, fratello vienmi in aita;" che infellonirsi tacendo, e buttare via dalle spalle la soma con iattura di tutti.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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