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      Tuttavolta la prosunzione collettiva nel Piemontese occorre, e di molto; gli viene dai suoi maggiorenti interessati a fomentarla: gliela inocchiano i Giornalisti venduti; gliel'aizzano i Moderati consenzienti che altri divori, ed opprima a patto che possano rosicchiare essi, ed opprimere di seconda mano, nè trovo verso migliore a farla cessare, che uscire da Torino trasportando la sede del governo a Roma. I Torinesi per altra città non consentirebbero, o a malincuore consentirebbero; per Roma sì; di vero quale città italiana potrebbe stare a petto di Roma per magnitudine di memorie antiche, e per presagio di futura grandezza? Il popolo di Torino, certo finchè cotesta città resti capitale ne sfrutta il benefizio e ne gode, ma si è persuaso, che così non può durare, e talora udii da lui medesimo esporne le ragioni: certo verranno alcune industrie a patirne, ma le sono di quelle, che non fanno ricchezza permanente, bensì transitoria: anzi pure di quelle che servono più presto a corrompere le industrie civili, che ad avvantaggiarle, come locande, osterie, e più o meno onesti instituti, ed anco disonesti addirittura, e turpissimi; il sapore di siffatte industrie noi sopra gli altri conosciamo in Toscana, dove un dì concorrevano forestieri a portarci i vizi, ed i catarri loro. Compensi chiederanno i Piemontesi certamente, ed anco non li chiedendo li meritano, nè sembra arduo accordarli, conciossiachè paia non pure utile ma necessario convertirla in gagliardo arnese di guerra per opporla in ogni caso a qualunque irrompesse giù dalle Alpi nemico; e questo a cagione della scoperta fatta dal Conte di Cavour quando orava in Parlamento per cedere Nizza e Savoia, la quale fu che i paesi si difendono meglio allo aperto in pianura, che non per le angustie delle forre, o dalle alture.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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