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      Pipino rispose, che il principe il quale non basta a difendere il suo stato ne perde il dominio; ed in questo aveva ragione; egli poi non essersi mosso per lo imperatore ma per San Pietro a cui aveva fatto voto di donare tutte le sue conquiste in isconto dei peccati commessi e per la salute dell'anima sua. Dura fu la legge del vincitore che Astolfo ebbe a cedere l'Esarcato, la Pentapoli, ventidue città, Ravenna, Rimini, Pesaro, Fano, Cesena, Sinigaglia, Jesi, Forlì, Forlimpopoli, Castrocaro, Montefeltro, Areragio, che ai dì nostri non sappiamo dove giacesse, Mente-lucano, forse Nocera, Serravalle, San Mariano, Bobio, Urbino, Cagli, Luceolo, Narni, e Comacchio; le spese della guerra, la terza parte del suo tesoro, e torni a pagare al re dei Franchi l'annuo tributo di 12000 soldi di oro di cui la gente langobarda si era affrancata, regnando Clotario II. Folbrado abate ricevute le chiavi di queste ventidue città le portò sopra la pretesa tomba di San Pietro con la facoltà di usufruirle; e ciò pongasi bene in sodo: la Chiesa dal dominio utile in fuori su la donazione di Pipino niente altro ebbe, e così da Carlomagno fino ad Enrico III. Anco dopo il mille la potestà temporale, donde i Papi ricavano adesso fondamento alla libertà del potere spirituale della Chiesa, non occorre stabilita, epperò eziandio il piissimo tra i cattolici ha d'accordarsi in questo con noi, o che il potere temporale non è necessario alla libertà spirituale della Chiesa, ovvero che per i dieci primi secoli interi la Chiesa non fu libera; nè cavillare qui giova, delle due cose l'una; il cattolico scelga.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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