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      .. E così durò, finchè Ottone rimase, voltato, ch'ebbe le spalle; Giovanni rientra in Roma; una sinodo, aveva deposto lui, un'altra sinodo depone Leone, che fugge senza voltarsi indietro per riparare presso Ottone; quivi muore, e gli va dietro Giovanni Papa, morto come si disse di una solenne batosta sul capo datagli dal demonio; ma come fu vero da un marito, il quale coltolo nel letto con la propria moglie gli spaccò il cranio.
      Benedetto V eletto senza licenza di Ottone si confessa in fallo, e risegnato l'ufficio fugge via; col favore di Ottone torna Giovanni XIII ferocissimo, il quale per vendicarsi del bando a cui lo avevano condannato i Romani decapita il prefetto, e dodici tribuni, con atroci strazi lacera parecchi maggiorenti fra i cittadini; lui cessato ritorna in ballo Benedetto per farsi strozzare da Bonifazio VII, il quale all'omicidio aggiungendo il furto spoglia le chiese di Roma, e va in Costantinopoli, donde partitosi in breve mette le mani addosso a Giovanni XIV assunto al pontificato nella lontananza di lui, e lo fa morire di fame.
      Ora i Romani, vinta la pazienza, condotti da Crescenzio, si ordinano a repubblica; lui eleggono console; Gregorio V rimena in Italia Ottone tedesco, e disfatta la repubblica, tronca il capo a Crescenzio; contra la religione del patto di morte atroce fa morire Giovanni, assunto papa mentre egli stava lontano a macchinare col tedesco Ottone la servitù della Patria.
      Siamo giunti al decimo secolo, e vedemmo fin quì come i diritti della Chiesa altro non sieno se non delitti; e tuttavia qui pongono i preti la sorgente del carico divino di reggere il mondo, ed imperare su Roma, per cui cedere un'iota, o comporsi in pace con la cessione della minima tra le prerogative loro non possono: bene reputano i preti i nostri uomini di stato ignoranti, nè veramente hanno torto (almeno ai dì nostri); in antico era diverso, però Napoli, in Toscana, e a Parma, in Torino no, dove per piacere al prete di Roma si dannava a morire in carcere Pietro Giannone proditoriamente arrestato, e iniquamente tenuto.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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