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      Eugenio, come se tante cure gli fossero poche, scompiglia il reame di Napoli spingendo Renato di Angiò contro Alfonso di Arragona, e forse il suo protetto ci faceva impressione, quando per la cupidigia di ricuperare la Marca di Ancona, posseduta da Francesco Sforza, gli muove contro ad assalirlo improvviso Niccolò Piccinino; per la quale cosa Francesco indugiando a sovvenire Renato di Angiò è cagione che le fortune di questo tracollino; più tardi va, e mentre altrui non giova sè ruina: a Renato tocca a scappare, che pieno di rovello si riduce a Roma per isfogarsi col Papa, il quale, con buone parole lo raumilia, e lo incorona re giusta in quel punto in cui lo perdeva; Renato invece di stare in Napoli con un reame torna in Francia con una corona, addentellato a nuove miserie d'Italia.
      Tra i buoni Papi sogliono annoverare Tommaso di Sarzana, Niccolo V, migliore: costui nato di piccola gente fece assai professione di conversare con letterati, e procurò si recassero in idioma latino in cinque anni scrittori greci, più che innanzi a lui non si era fatto in tre secoli, ma vi hanno di due maniere letterati, quelli che più badando alla sostanza, che alla forma con la dottrina dei sommi intelletti nudriscono divinamente l'anima; altri corrono dietro agli artifici della orazione, le parole studiano non le sentenze, e vagheggiando la materia, materia rimangono: tra questi secondi Tommaso da Sarzana, fra i primi Stefano Porcari, il quale, appena morto papa Eugenio, raunata la cittadinanza romana nella chiesa di Araceli la confortava a cose santamente libere, però che lo dicesse: non esservi così piccolo borgo dove morto il signore non si ragionasse di ricuperare la libertà, o almeno di porre modo alla intemperanza dei futuri reggitori dietro la esperienza del passato.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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