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      I savi di Firenze arebbono ceduto alla tempesta presente, e' pazzi avendo contro ad ogni ragione voluto opporsi, hanno fatto insino a ora quello che non si sarebbe creduto, che la città nostra potesse in modo alcuno fare. - "E su ciò nota, che i cittadini di Firenze non si posero in balìa della fortuna bensì della virtù, la quale se non li rese felici nè anco potè farli sventurati, avendo conseguito fama immortale, e morte onoratissima combattendo per la Patria; mentre Messer Francesco, che certo si poneva fra i savi, nocque alla Patria, guastò il nome, e dopo vita umiliata lo colse la morte senza compianto. Piaccia al cielo che i nostri figliuoli, tenuta a vile la sapienza dei Guicciardini, s'innamorino della follìa del Ferruccio.
      A così enormi prodigalità, a tanti tramestii ogni gran fonte di guadagno veniva meno, sicchè per ultimo mise mano alla vendita delle indulgenze facultando i suoi commessi ad aprirne mercato là dove trovassero il terreno disposto. Qui non ha luogo la storia di simile successo, epperò mi passo da investigare se e quanto vera la fama delle turpitudini, che lo accompagnarono; fatto sta, che cose brutte ci furono, e Lione fece prova di solenne imperizia a toccare quel tasto. Non secondando gli umori dei tempi la Curia di Roma potè, mescendo disciplina e domma, perfidiare offesa alla religione ogni conato di riforma morale, e commettere al fuoco il molesto predicatore; quando poi, per le cause discorse allorchè tenni proposito di Alessandro VI, gli stranieri conobbero di che panni vestissero i preti di Roma bisognava, per evitare che i nodi arrivassero al pettine, avvertire due cose, mutare costume, e credere, o fingere credere quello che sotto pena di fuoco si pretendeva che credesse altrui: di vero dei roghi dei primi eretici non avanzò altro, che ceneri, le quali andarono disperse dal vento; ma di quelli di Girolamo da Praga, di Giovanni Huss, e del Savonarola rimasero tizzi accesi a illuminare le menti degli uomini.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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