- Nè in Roma solo ma per tutta Italia; e il Daru, il Ginguenè, e il Ranke ricordano certo poema di Francesco de' Lodovici intitolato il Trionfo di Carlomagno, dove immagina Rinaldo, essendo penetrato nell'antro dove la Natura fabbrica gli animali, sente dire da lei, ch'essa assegna loro più intendimento o meno secondo la eccellenza della forma; e domandando egli se anima ce ne metteva la Natura risponde:
Quell'altro poi, che in voi dici immortaleIo non lo fo; se Dio lo fa, sel faccia;
Che cosa egli si sia nè so, nè quale.
Puote esser molto ben, che a lui ne piacciaFar, quando i corpi fo, qualcosa in voi,
Che torni al vostro fin nelle sue braccia.
E questo se a te par creder lo puoi. -
Quanto a costumi non importa dire; anco prima di Leone le meretrici pubbliche avevano sepoltura in Chiesa, come la famosa Imperia, cui inalzarono onorato monumento in San Gregorio con tale epitaffio dove levavasi al cielo la venustà delle sue forme. - A dritto uno storico gravissimo dichiara il pontificato di Lione essere stato tutto un Baccanale; Marco Minio oratore con parole come convengono al suo ufficio compassate scriveva: - è docto, e amador di docti, ben religioso, ma vuol viver. - Di lui corse fama bieca per troppo addomesticarsi che faceva co' paggi di corte, formosissimi tra i garzoni d'Italia, e il Giovio nel difenderlo lo aggrava, dacchè dopo averlo encomiato casto al pari di Giuseppe ebreo o giù di lì, mi scappa fuori con la domanda: e chi può avere scrutato i segreti della notte? E aggiunge poi che tali bazzecole non si hanno a rinfacciare ai buoni reggitori, essendo noto come quel Traiano, delizia vera della umanità, di culto eccessivo proseguisse gli Dei consenti Venere e Bacco: per me dico, che le specialità non possono con giustizia apporsi a persona dove non siano chiarite; rispetto alle generalità basta la induzione onesta e giudiziosa; così questa facenda dei donzelli non credo perchè non trovo provata, ma nè pure mi persuado della esemplare castità di Lione considerando la vita, gli ozi, ed i sollazzi di lui; stivalato e incavallato buona parte del tempo egli spendeva alla caccia, e tanto dietro questo divertimento andava perduto, che per poco non cadde prigioniero dei Turchi a Civita Lavinia; le commedie alle quali egli assisteva, ai dì nostri la censura più rilassata ributterebbe come troppo invereconde; mostruosi i vizi di Alessandro VI, e per questo appunto meno nocivi come quelli, che si svelavano nella immane loro bruttezza; pieni di pericolo quelli di Lione perchè eleganti; tutto rettile il primo, sirena il secondo; non arduo schermirsi dalle infamie borgesche, impossibile non isdrucciolare nelle corruttele medicee; ora le turpissime cose spolverizzate dei profumi di Tibullo, di Anacreonte, e di Orazio.
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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno 1864
pagine 838 |
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