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      Certa cosa ella è che se i soli soldati avessero condotto le difese, i Francesi vincevano: ma a sbaldanzire la burbanzosa prosunzione dei soldati gesti antichi di popolo non bastano, nè anco i moderni; le forze del popolo sempre durante il pericolo s'implorano, passato il pericolo si dispettano sempre. Questa lega incominciata con le benedizioni finì con lo scaraventare, che fece il Guisa un piatto nel capo al duca di Montebello; sopraggiunsero acquazzoni a guastare le opere francesi, sicchè il Guisa stizzito ebbe a dire: "anco Dio è diventato Spagnuolo!" Il duca di Alba campeggiando ributtò il nemico fuori del regno; non mancarono in cotesti tempi censori, i quali lo ripresero per non avere assalito i Francesi nella ritirata, principalmente al passo del Tronto, ma egli rispondeva: le fortune della guerra mutabili; suo intento sbrattare il regno dai Francesi, e questo avere conseguito; non doversi mai cercare miglior pane, che di grano, nè egli volere giocarsi Napoli con la casacca di broccato del duca di Guisa. Però non istette guari che gli assalitori diventarono assaliti: Segni pagò per Campli; francesi o spagnuoli espugnando bene saccheggiavano, stupravano, uccidevano, gli uccisi, e i rubati italiani. Il duca di Alba all'improvviso di Fabio si tramuta in Marcello, e con audacissima mossa si avventura a sorprendere notte tempo Roma; nè gli andava fallito il disegno se considerando uno irrequieto agitarsi di torce, e certi cavalli proprompere fuori delle porte non avesse temuto, che Romani avvertiti del pericolo mandassero pei soccorsi al Guisa accampato a Tivoli; per la quale cosa il duca di Alba non volendo essere tolto in mezzo a due fuochi rifece i passi.


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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno
1864 pagine 838

   





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