I priori di Viterbo durante il secolo decimoquarto accoglievano seduti fuori delle mura il potestà inviato da Roma, nè lo immettevano dentro se prima non giurava la osservanza delle capitolazioni loro: a patti men larghi erasi dato Fano; la vendita del sale tutta a suo pro; balzelli per venti anni non ne avesse a pagare; libertà illesa, e diritto di eleggersi chi meglio volesse per potestà senza bisogno di conferma. Sinigaglia da sè s'imponeva le tasse, da sè le riscoteva; alla Camera apostolica pagava il convenuto; e di questo si chiamò contento non che altri Cesare Borgia; e Giulio II. cacciato via da Perugia il Baglione, si astenne da toccare le sue vetuste franchigie, aborrì il retaggio usurpato dal tiranno; per lungo tempo ella pagò al Pontefice un censo annuo di pochi mille scudi; anco sotto Clemente VII. partecipava alla difesa dello stato con milizie sue proprie; così pure Bologna, la quale conservò le sue libertà municipali, amministrò le sue entrate da sè, manteneva milizie proprie, e pagava il legato del Papa; non diversa Ravenna, e le città di Romagna tutte, che liberate dalla dominazione del Borgia, furono da Giulio II. ricevute a patto. Non sempre i governatori erano prelati; all'opposto bisogna confessare che le città stesse imploravano magistrati chiesastici, dai laici rifuggivano: dentro le città prima per necessità, poi anco per uso di discordia antico, il popolo minuto avverso al popolo grasso, il popolo grasso sospettoso dei nobili, i nobili nemici a tutti; i municipi stessi se non sempre contrari fra loro, di rado concordi; onde le assemblee provinciali attecchirono; così i principi e gli stati comporsi in lega o non seppero, o non vollero; i popoli eziandio rimasero disgiunti, bellissime gemme di collana sfilata, onde la causa perpetua della nostra nullezza politica.
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Lo assedio di Roma
di Francesco Domenico Guerrazzi
Tipografia Zecchini Livorno 1864
pagine 838 |
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